(Atlantico)

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Oceano Atlantico: le traversate


Chi fu il primo a tentare la grande avventura? Vogliamo dire ad affacciarsi sull'Oceano? Forse gli Egiziani, forse i Fenici. Forse il greco Pitea.
L'itinerario compiuto da questo navigatore, tra la storia e la leggenda, appare molto controverso. Seguiamolo. Pitea si sarebbe imbarcato a Massalia (l'odierna Marsiglia), avrebbe oltrepassato le Colonne d'Ercole (l'attuale stretto di Gibilterra), e, volgendo verso nord, dopo aver doppiato il Capo di San Vincenzo, avrebbe attraversato il Golfo di Biscaglia.
A proposito di questo golfo: oggi, grazie ai recenti sondaggi compiuti dall'Istituto Nazionale Britannico di Oceanografia, il fondo marino di questa grande insenatura non dovrebbe avere più segreti: pianure abissali, monti marini, vallate e scarpate continentali; ricordiamo il «Burrone del fango nero» sulla scarpata continentale sud-ovest della penisola di Bretagna.
Sempre dirigendo verso nord, Pitea avrebbe attraversato la Manica e, costeggiando le coste della Danimarca, sarebbe entrato nel Mar Baltico spingendosi fino al Golfo di Finlandia. Notiamo en passant, al seguito del leggendario Pitea, un fatto di salinità: qui, in questi mari del nord, il contenuto di sale è relativamente basso in paragone a quello dell'Atlantico. L'alto grado di evaporazione nell'Atlantico subtropicale spiega l'alto grado di salinità; il basso grado di evaporazione nel Baltico e i numerosi fiumi che vi portano neve sciolta, concorrono a spiegarne il grado più basso di salinità.
Ritornando indietro, e dopo avere di nuovo costeggiato le coste della Danimarca, Pitea avrebbe diretto verso nord, lungo le coste orientali dell'Inghilterra, raggiungendo le isole Shetland. Da qui, volgendo a sinistra, avrebbe rasentato le isole dell'arcipelago delle Orcadi, a nord dell'estrema punta della Scozia, dalla quale è separata da un braccio di mare che si chiama Pentland Firth. Lasciamo cadere la solita osservazione, stavolta storica: in questa grande baia, rifugio sicurissimo, protetto da una corona di scogli e di isolette, vicinissimi gli uni alle altre, con canali, sbarramenti, pontoni, reti antisommergibili, in questa grande baia, dicevamo, la flotta britannica si è sempre arroccata. Siamo nella formidabile base di Scapa Flow. Nel 1919 qui la flotta germanica si autoaffondò piuttosto di subire l'umiliazione della resa. Qui, il 14 ottobre 1940 il capitano Giinther Prien, comandante di un sommergibile tedesco, affondò a colpi di siluro la corazzata inglese Royal Oak: nello scafo capovolto trovarono la morte 786 uomini fra ufficiali e marinai, contrammiraglio comandante compreso.
Dalle Orcadi, Pitea avrebbe diretto verso nord, verso l'Islanda, che secondo alcuni storici avrebbe raggiunto. Certo, il navigatore greco, a quel tempo, non potè vederla: parliamo dell'isola Surtsey. Sorta nel 1963 dalle acque dell'Atlantico settentrionale, al largo dell'Islanda, Surtsey è una nuova terra che gli atlanti hanno dovuto registrare. Nascita dolorosa, parto convulso: la lava ha cominciato a ribollire a Surtsey subito dopo l'emersione e ha continuato per quasi quattro anni; le colate uscivano da coni secondari aperti si sulle pareti del cratere principale. Nel giro di due anni, sull'isola si erano già sviluppate le prime forme di vita vegetale e animale.
Meno fortuna ha avuto l'isolotto dei Syrtlingur, nato nel 1965 a meno di un miglio di distanza da Surtsey: l'isolotto aveva pochi mesi di vita e quindici ettari di superficie quando le ceneri e i lapiIIi che lo componevano furono spazzati da una tempesta. Requiem per un'isola.
Non è dato sapere con precisione quale sia stato l'itinerario seguito da Pitea nel ritorno: probabilmente navigò lungo le coste occidentali dell'Inghilterra e andò a cadere sul grande promontorio di Brest.
« Eccomi in mare aperto. Resterò solo col mare per sei mesi, o forse otto, o forse più. Le coste dell'Inghilterra sono ormai scomparse dal mio orizzonte. Ai quattro lati della barca c'è soltanto l'Oceano Atlantico, un'uguale, sterminata distesa di azzurro, il vento soffia da ponente, ecco Madera; poi verranno le Canarie e le isole del Capo Verde ... Ma è meglio non pensare a quello che verrà dopo, meglio frenare la fantasia e concentrarsi pazientemente sulle mille cose da fare ogni giorno, con estrema attenzione, perchè la lunga sfida nella quale sono impegnato non consente distrazioni ... » E ancora: « Mi sento libero, solo col mare e col vento e con questo cielo pieno di sole: libero e straordinariamente sereno, appagato dalla realizzazione concreta di un sogno che si fa reale sotto i miei occhi, sotto le mie mani che decidono sul cammino ... » E ancora: « È cominciato il secondo giorno di viaggio, le condizioni atmosferiche sono cambiate, non ho avuto la fortuna di avere un cielo stellato, ma questo è il meno; il vento soffia molto forte da sud-est e da sud-ovest, con un mare forza 7 e 8 ... » Chi parla, anzi chi scrive (poichè si tratta di un giornale di bordo) è Alex Carozzo, navigatore solitario, che tenta l'attraversata dell'Atlantico. Tenta: poichè Alex Carozzo sarà costretto a rinunciare per un attacco di ulcera. (Diremo tra parentesi che, appassionato del mare, Carozzo ha acquistato notorietà mondiale, entrando nel « Club dei navigatori solitari», con un'impresa eccezionale compiuta nell'inverno 1965-1966: la traversata solitaria del Pacifico sul Golden Lion, uno « sloop» di dieci metri. Partito da Kobe, in Giappone, il 12 agosto 1965, Carozzo raggiunge San Francisco, dopo 135 giorni, coprendo una distanza di seimila miglia inglesi, cioè quasi 11 mila chilometri.)
Con l'Atlantico non avrà fortuna. Aveva previsto tutto, ma non i capricci dello stomaco: a bordo, scorte di ogni genere, dagli antibiotici agli analgesici, venti chili di pasta e venti di riso, sessanta chili di patate, altrettanti di cipolle, trenta chili di altre verdure (carote, lattuga, pomodori), dieci di farina, venti di zucchero, quindici di miele, trenta di arance, cinquanta di mele e sei scatoloni di gallette; e inoltre: dadi per brodo, carne e pesce in scatola di varie qualità, latte in scatola e latte fresco a lunga durata, frutta secca, burro, olio, biscotti, caffe; e naturalmente una sufficiente scorta di acqua dolce: un migliaio di litri, in lattine appositamente preparate dalla Fiuggi, e altre bevande; e inoltre tabacco. E per il vestiario? Cinque pullover, due impermeabili, tre giacche a vento, tre paia di stivali, quattro paia di pantaloni marinaio ...
Che cosa voleva dimostrare Carozzo? Quello che altri navigatori solitari hanno dimostrato: e cioè che l'Atlantico potè essere attraversato in tempi remotissimi da popoli privi di quei mezzi tecnici di navigazione di cui dispomamo nOI oggl.
Antiche tavolette sumeriche descrivono come il principe Marecm-Sui, verso il 2000 a.c., abbia veleggiato, pare, sulle acque dell'Atlantico arrivando sino all'attuale Capo di Buona Speranza, estremità meridionale del continente africano; il principe, a quanto ci risulta, era diretto verso una non meglio definita «terra oltre il mare occidentale».
Che Sumeri e Fenici siano arrivati nell'America del Sud, via Atlantico, sarebbe testimoniato da tracce lasciate nel nuovo continente. La notizia è recente: ed è del professor Barry Fell, della Harvard University, il quale precisa che gli egiziani sarebbero arrivati persino nel Cile, 2000 anni fa.
Nel 1274 a.c., Menes, figlio di Sargon, re dei Sumeri, avrebbe intrapreso un viaggio raggiungendo la «terra del tramonto », dove sarebbe stato avvelenato a morte da un insetto, e dove, secondo la leggenda, sarebbe sepolto. Ebbene, nel maggio del 1969, Thor Heyerdahl, insieme con altri sei uomini di equipaggio, salpò dal porto marocchino di Safi, diretto ai Caraibi a bordo di una barca di papiro, esatta copia delle imbarcazioni sumere: egli voleva dimostrare che la traversata dell' Atlantico da parte degli antichi era più che possibile.
Del resto alcuni antichi documenti riportano che i Sumeri s'imbatterono in uomini rossi mentre veleggiavano lungo un grande fiume. Non si può infine negare la straordinaria analogia tra molte parole peruviane e sumere; nè si può negare la somiglianza delle architetture, le affinità delle religioni e delle cerimonie. Dobbiamo concludere che fra l'America del Sud e Babilonia sono esistiti dei rapporti? Varie leggende parlano di un dio bianco che si aggirava nelle due Americhe, istruendo e guarendo la gente. Alcuni accenni negli scritti classici fanno supporre, con un abbondante beneficio d'inventario naturalmente, che i Greci e i Romani fossero vagamente consci dell'esistenza dell'America. Plutarco nel suo De facie in orbe Lunae scrive tra l'altro: «A ponente dell'Oceano vi sono diverse isole popolate da uomini dalla pelle rossa, oltre le quali vi è un vasto continente, con grandi fiumi navigabili ».
Si può affermare che l'Atlantico, dall'antichità sino ad oggi, è stato l'Oceano più «attraversato ». Attraversato da navigatori, da commercianti, da schiavisti. Ricordiamo, anche se l'accenno può suonare sgradevole, la grande via degli schiavi: quella dalle coste dell' Africa occidentale alle piantagioni del nuovo continente. Per la traversata esistevano due scuole di schiavisti: una che lasciava agli schiavi la possibilità di respirare e, sia pure sotto la minaccia della frusta, di passeggiare in coperta per preservarli dalla morte per inedia; l'altra invece che confidava nella bontà divina: gli uomini e le donne dovevano restare dentro la stiva per tutto il tempo del viaggio, senza morire.
Traversata storica: quella dei famosi «Padri pellegrini».
Parliamo di quel primo gruppo di coloni protestanti che il 6 settembre del 1620 partirono dalla città di Plymouth, in Inghilterra, e sbarcarono 1'11 novembre dello stesso anno sulle coste del Massachusetts a bordo della nave Mayjlower: 102, tra cui donne e bambini, appartenenti alla setta dei Puritani, severi, intransigenti nei confronti della morale e dei costumi, insofferenti dello sfarzo che regnava alla corte degli Stuart e che non volevano riconoscere altra autorità in campo religioso che la parola della Bibbia. Una nave carica di fanatismo: ma anche di idee. Furono i «Padri pellegrini» i primi a «colonizzare» l'America del Nord.
Non possiamo non dimenticare la prima traversata ufficiale: ci riferiamo al viaggio memorabile di Cristoforo Colombo: 12 ottobre 1492. Alle 2 antimeridiane, Rodrigo de Triana, di vedetta sul castello di prua della Pinta, vede sull'orizzonte a occidente qualcosa che assomiglia al biancheggiare di un banco di sabbia; poi ne vede un altro, e infine scorge una linea oscura di terra: «Tierra! Tierra> grida. Grido fatale. La prima terra dell'emisfero occidentale avvistata da Colombo era la costa orientale di una delle Bahamas, oggi ufficialmente denominata «San Salvador>, in devozione a Nostro Signore. San Salvador è un'isola corallina lunga circa 13 miglia e larga poco meno di 6, circondata da secche pericolose, e abitata al tempo di Colombo da ... Citiamo le parole di un testimone, Las Casas: «Essi (gli indigeni) circolano completamente nudi, come le loro madri li fecero; e anche le donne, per quanto vedessi una sola ragazza veramente giovane. Tutti quelli che vidi erano uomini giovani, nessuno di età superiore ai 30 anni, molto ben fatti, con corpi splendidi e visi magnifici; i capelli grossi quasi come i peli della coda di un cavallo e corti ... » E ancora: «Non portano armi, nè le conoscono; infatti io mostrai loro alcune spade ed essi le ~ferrarono per le lame e si ferirono a cagione della loro 19noranza ... »
Ultima traversata atlantica, in ordine di tempo è quella conclusasi il 6 febbraio 1976 a Rio de Janeiro, a bordo del eri/o-a. Protagoniste: sei donne; una, segretaria; una, architetto; una, maestra di sci (con al suo attivo già una precedente traversata atlantica); una, parigina giramondo; una, studentessa in architettura; una, massaia, probabilmente stufa di fornelli. L'idea di questo viaggio era nata il 6 dicembre del 1974, nella testa di Maria Teresa Fogar, moglie del navigatore Fogar: «Visto che sono stata tanto tempo ad aspettare mio marito, adesso mi piacerebbe fare aspettare e soffrire lui andandomene per mare». Ma Maria Teresa, all'ultimo momento, fu costretta a rinunciare a causa della sua maternità.
 

Informazioni sul Mare Mediterraneo e sull' azione erosiva del mare sulle coste, sui mammiferi marini.

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Tratto da : "SUGLI OCEANI", Volume I - Edizioni Ferni, Ginevra 1976
Testi di : <<Max Polo ; Anna Maria Boschetti>>